L'ultima casa accogliente

L’ULTIMA CASA ACCOGLIENTE

Una storia di luce ritrovata.

 

Non è la rabbia che mi consola
non è la voglia di vomitarne ancora
contro qualcuno che non esiste
contro me stesso o chi non c'entra niente.
Una voce in testa mi dice:
è solo una scusa per non essere felice

Per decidere di provare a cambiare ci vuole coraggio.
Bisogna trovare la forza di ammettere a se stessi che così non può più andare avanti. Ammettere di aver toccato il fondo, di avere bisogno di aiuto.

Ci abituiamo così bene al dolore da esserne assuefatti.
Arriviamo a convincerci che sia parte di noi, che sia una condizione permanente.
Crediamo di esser nati per ferirci, per essere infelici.

A volte però si arriva a un punto di rottura. Un momento di svolta, in cui ci rendiamo conto di non poter più sopportare questo limbo eterno.
A quel punto le strade sono solo due. Abbandonarsi all’oscurità, o andare in cerca della luce.

Non possiamo sempre contare sul fatto che chi abbiamo intorno a noi capisca il nostro dolore.
Dobbiamo compiere un atto di coraggio e chiedere aiuto, a voce alta.

C’è poi il problema di chiederlo alle persone giuste. Trovare qualcuno disposto ad ascoltare e a intervenire, a muovere anche solo un dito nella nostra direzione. Basterebbe questo, tanto siamo disperati. 

Vedere il nostro sforzo cadere nel silenzio, potrebbe essere la spinta definitiva verso le tenebre. L’ultima, amara beffa. Trovare il buio mentre abbiamo provato a cercare la luce. È un rischio, ma dobbiamo trovare le energie e la voglia di compierlo.

Ci vuole coraggio.

Non è la voglia che non ho avuto
non è il passato che ho dimenticato
non è quel viaggio che mi ha cambiato,
piuttosto quando sono stato viaggiato.
Non è la morte, non è ancora il momento
ma quel momento comunque è dentro

Quando Paola ha trovato il coraggio di chiedere aiuto, una parte di me ha ascoltato.
Quella più istintiva: la pancia. In quel momento non avevo compreso la portata dell’aiuto di cui lei aveva bisogno, ma ho sentito che potevo e dovevo tendere una mano.

Gli ultimi anni della vita di Paola sono stati densi di dolore. Di quel dolore a cui si abitua perché è ogni giorno lì, nel riflesso che ci restituisce lo specchio. È negli occhi spenti, nelle labbra che non sorridono più, nel caotico movimento dei capelli, nelle mani strette a pugno con le unghie conficcate nella carne. Quello non era più il suo corpo, ma una maschera di angoscia e paura.

Ogni tanto Paola riusciva a trovare le forze per cercare un po’ di luce. E l’unico luogo in cui era in grado di trovarla era una fotografia fatta tanto, troppo tempo fa. In quello scatto poteva vedersi prima di tutto il dolore, prima che arrivasse il buio a strapparla dal proprio corpo. 

La richiesta di aiuto di Paola è stata questa: delle fotografie.
Attimi in cui potesse trovare un po’ di luce, in cui potesse ritrovare se stessa, anche solo per un po’.

Non è l'amore a farci a pezzi
non è il dolore a scrivere versi
non è la voglia di farmi male
non è la voglia di farmi male


Io e Paola abbiamo fatto molte fotografie insieme negli ultimi due anni.

Piccolo bagliori di luce in mezzo al buio. Ma non era abbastanza. Per ogni attimo illuminato, il prezzo da pagare erano momenti di oscurità profonda. A un certo punto Paola ha persino pensato che non valesse più la pena lottare per quei raggi di sole. Non erano abbastanza. Nulla era abbastanza.
E allora tanto valeva abbandonarsi alle tenebre, per sempre.

Una volta ho sentito dire che la notte è più scura appena prima dell’alba.

Proprio nel momento più buio, Paola ha trovato il coraggio di chiedere aiuto ancora una volta. Ha usato tutte le ultime energie residue, tutto quello che aveva. Ha rischiato tutto, un’ultima volta. Ha messo nelle mie mani e nella mia fotografia gli ultimi granelli di speranza che le erano rimasti.

Queste fotografie non dovevano essere belle. Non dovevano essere sensuali, erotiche, gioiose, tristi o sentimentali. Queste fotografie avrebbero dovuto assolvere un compito più alto, il più alto che io mi fossi mai trovato a dover compiere. Attraverso queste fotografie Paola avrebbe dovuto avere la possibilità di riprendere possesso del proprio corpo, di riprendere il controllo della propria vita.

Lenire il dolore non era più sufficiente. Bisognava guardarlo dritto negli occhi e relegarlo nel passato, nelle cose che sono state, non sono più.

Paola ha deciso di posare con (solo) il proprio corpo davanti alla mia macchina fotografica. Si è tolta di dosso ogni cosa, come simbolo dei pesi che doveva lasciarsi alle spalle.

Ha passato in rassegna gli ultimi anni della sua vita, i più dolorosi, e per la prima volta li ha visti come cicatrici, non come ferite aperte.
Ha lasciato che la luce entrasse e inondasse il suo corpo.
Ha sorriso. Leggera, finalmente leggera, ha sorriso.

Lasciati abbracciare forte
lasciami le ombre, il dolore, la notte
Lascia che ti dorma accanto quando viene buio
mentre parli nel sonno e io urlo da solo
Non ero io dentro al tuo corpo
non eri tu a tenermi dentro
Non ero io, non eri tu
Il sangue che mi esce dal corpo
è mio soltanto se lo riconosco
Sei una ferita aperta dentro cui viaggiare
tu non mi abbandonare

Salvami dai mostri, dal mondo
salvami da quello che voglio
il male profondo
dalla morale, dall'obbedienza
dalla normalità fatta sentenza
dalla vergogna, dall'efficienza
la sicurezza, la sufficienza
Non ero io, non eri tu

Non eri più tu.
Ma ora lo sei. Lo sei di nuovo.

Più forte, più leggera.

Sono io, e sono meravigliosa

 

Blu Musica Azienda Presentazione.jpg

L’ultima casa accogliente è il titolo del disco della band Zen Circus uscito nel Novembre 2020, la cui traccia Non è parte integrante del racconto di questa storia.

Grazie agli Zen Circus per aver scritto una canzone che parla di Paola, pur senza conoscere lei o la sua storia.

L’ultima casa accogliente è anche il titolo di una playlist che potete trovare su Spotify. Sono le canzoni che hanno fatto da colonna sonora alla realizzazione di queste fotografie e che hanno accompagnato il ritorno a casa di Paola.


 

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